SALVIAMO IL PAESAGGIO


 


DDL 1372: una minaccia concreta e immediata per la salvaguardia del paesaggio
22 Aprile 2025 salviamoilpaesaggio

Le proposte di modifica al Codice costituiscono una riduzione netta della tutela del paesaggio, senza prevedere alcun potenziamento degli strumenti di pianificazione a salvaguardia preventiva dei valori paesaggistici. Vediamo perché.

di Elisa Ferretti – Comitato di Reggio Emilia del Forum Salviamo il Paesaggio

Una serie di proposte, arrivate dal settore edile, è stata raccolta in un disegno di legge (DDL 1372 “Delega al Governo per la revisione del codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di procedure di autorizzazione paesaggistica”) che dovrebbe portare alla revisione del Codice dei BBCC e del paesaggio (D. lgs. 42/2004), presentato al Senato dal gruppo Lega Salvini Premier.

Obiettivo dichiarato delle proposte è quello di velocizzare e semplificare l’iter degli interventi edilizi che ricadono all’interno di zone sottoposte a tutela paesaggistica, e pertanto disciplinate dal D. lgs. 42/2004, il quale prevede che gli interventi previsti in tali ambiti tutelati debbano ottenere l’autorizzazione paesaggistica.

Tale procedimento è in capo alle Regioni (che spesso lo hanno delegato ai Comuni), ma il Codice prevede la necessità di un parere obbligatorio e vincolante da parte della competente Soprintendenza per i BBCC e il paesaggio. Questo parere è visto come una garanzia fondamentale nella tutela del paesaggio, che fino a oggi si è ritenuto non possa essere interamente delegata a enti locali i quali potrebbero non essere in possesso delle competenze sufficienti per esprimere un parere circostanziato, oltre che essere maggiormente soggette a pressioni e interessi locali.

Tale iter (differenziato in un’autorizzazione ordinaria e una semplificata, a seconda dell’entità dell’intervento) allunga, in modo a volte significativo, i tempi del procedimento, in particolare per quanto riguarda il procedimento ordinario, in cui non è previsto il silenzio-assenso da parte della Soprintendenza.

Questa scelta del legislatore connota il valore (fino a oggi prevalente) attribuito alla tutela del paesaggio (previsto dall’art. 9 della Costituzione), mettendola in primo piano anche a discapito del diritto del proponente di avere tempi certi nel procedimento istruttorio.

Per cercare di “accelerare” questo iter, il disegno di legge (che raccoglie sollecitazioni da parte di ordini professionali, costruttori ed enti pubblici locali) propone di introdurre il silenzio-assenso, laddove la Soprintendenza non si esprima nei tempi previsti (45 giorni).

In tal modo, tuttavia, per dare voce a un diritto del proponente si mette a rischio la tutela del paesaggio, in particolare in quelle Regioni nelle quali non è presente un Piano Paesaggistico in grado di fornire ai tecnici comunali sufficienti elementi di orientamento e supporto nella valutazione (a oggi ciò non avviene in molte regioni[1]), oppure laddove gli strumenti urbanistici non sono stati adeguati alle indicazioni del PPR.

Il rischio concreto è che progetti non compatibili con il contesto territoriale vengano approvati solo per inerzia amministrativa, senza una vera valutazione del loro impatto trasformativo sul paesaggio.

Per poter sostenere il silenzio-assenso in materia paesaggistica sarebbe necessario un reale aggiornamento dei Piani Paesaggistici (e, conseguentemente, dei piani urbanistici) per farne uno strumento più vincolante, in grado di considerare i valori irrinunciabili dei paesaggi e supportare realmente gli enti locali nella valutazione di compatibilità dei progetti.

Alla proposta d’introdurre il silenzio-assenso, il DDL ne aggiunge altre (da adottare con apposito Regolamento) che appaiono come un’ingiustificata deregolamentazione e riteniamo siano da rifiutare in modo netto e immediato: in primo luogo, l’esclusione dal regime di autorizzazione paesaggistica di tutti “gli interventi di edilizia libera sottoposti a comunicazione di inizio lavori asseverata, nonché quelli sottoposti a segnalazione certificata di inizio attività nei casi in cui l’eventuale aumento di volume non ecceda il 20 per cento dell’esistente, ovvero le modifiche, come asseverate dal tecnico abilitato, rispettino il carattere dell’immobile interessato” (a oggi, una vastissima fattispecie d’interventi rientra all’interno dei regimi di CILA e di SCIA, anche quelli potenzialmente portatori di alterazioni ai caratteri dei luoghi).

Anche la proposta di delega al Governo per l’adozione di ulteriori provvedimenti, tra cui “prevedere che gli interventi di lieve entità, come definiti dall’Allegato B al decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2017, n.31, non siano sottoposti a parere della Soprintendenza e competano esclusivamente agli enti locali, previa verifica di conformità con il Piano paesaggistico regionale” (articolo 3 comma 2) appaiono una deregolamentazione totale e immotivata, vista anche l’eterogeneità e inefficacia dei PPR rispetto a una reale salvaguardia del paesaggio[2].

Un ultimo aspetto, infine, dovrebbe far suonare un campanello (o, meglio, una campana) d’allarme: al punto e) del già citato art. 3 comma 2 si propone, con l’obiettivo populista e generico di “favorire gli interventi di prevenzione del rischio idrogeologico”, che il parere della Soprintendenza sia obbligatorio e non vincolante “per gli interventi ricadenti in aree definite ai sensi dell’articolo 142, comma 1, lettere a), b), c) e d)”, che tradotto significa in tutte le fasce di tutela delle coste, dei corsi d’acqua e dei laghi.

Un balzo indietro di quarant’anni nella concezione di paesaggio come di luoghi monumentali ed eccezionali, abbandonando tutte le tutele ope legis introdotte nel 1985 dal ministro Galasso.

Il rischio di una perdita di valore paesaggistico (un valore pubblico che appartiene a noi tutti) a favore del valore economico degli interventi edilizi (privati) è concreto e reale.

A oggi, ciò che si può fare è vigilare è cercare di fare pressione per mostrare che l’opinione pubblica sta “dalla parte del paesaggio” e non dalla parte di “semplificazioni” selvagge.

Consulta qui testo del DDL presentato dal gruppo Lega Salvini Premier.

Per approfondire segnaliamo l’articolo di Anna Maria Bianchi Missaglia su Carteinregola.

[1]A oggi sono poche le Regioni che hanno approvato un Piano paesaggistico “di nuova generazione”, ossia in grado di fornire indicazioni e criteri per le trasformazioni territoriali, che potrebbero supportare gli enti locali nell’iter valutativo: 7 piani paesaggistici (Sardegna-costa, Toscana, Puglia, Piemonte, Friuli Venezia-Giulia, Lazio, Basilicata) contro 2 piani solo adottati (Veneto e Lombardia) e 10 Regioni che ancora non hanno provveduto (Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Liguria, Marche, Molise, Umbria, Sardegna-interno) [Dati ANCI].

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